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Tanta confusione in attesa del referendum greco
Op-Ed 4 Luglio 2015 (.pdf, 77 Kb)Di Antonio Gay.
Al referendum greco si arriva dopo anni in cui il dibattito sull'Unione e sull'Euro è stato viziato da poca conoscenza e poca informazione ai cittadini.
Un problema che non si pone solo per la Grecia e che viene da lontano, dagli anni di avvio della moneta unica.
Soluzioni facili adesso non ce ne sono. Qualunque sia l'esito del referendum del 5 Luglio.
Nel punto di vista, amaro e caustico, del Prof. Antonio Gay, c'è tutta la difficoltà che la Grecia e l'Europa stanno attraversando.
L'appuntamento greco deve far riflettere anche su come l'Euro è stato utilizzato e valorizzato in Italia e quale risposta è arrivata alla perdita della leva delle svalutazioni competitive.
<<L’adesione all’Euro ci ha costretto a rinunciare alle svalutazioni competitive che avevano il grande merito di ridurre la spesa pubblica senza eccessivi costi politici. L’adesione alla moneta unica europea non è stata una liberalità a nostro favore del cancelliere Kohl ma una accorta difesa dell’industria tedesca dalla nostra temibile concorrenza. Da parte nostra è stata una scelta dettata dalla volontà politica di procedere verso una crescente integrazione politica dell’Europa e dall’intento didattico, di autorevoli personaggi del nostro mondo politico istituzionale, di costringere il paese a comportarsi in modo formalmente corretto, razionale e soprattutto politicamente trasparente. Infatti le svalutazioni competitive avevano profonde implicazioni redistributive senza per altro passare attraverso i meccanismi esplicitamente politici dell’attività legislativa. Proviamo ad immaginare una riduzione dei salari pubblici e delle pensioni ottenuta per via legislativa, ed in alternativa una loro contrazione equivalente ottenuta con una manovra sul cambio della moneta nazionale: la stessa sostanza economica avrebbe una del tutto diversa fattibilità politica.>>
<<L’adesione italiana all’euro ha avuto importanti effetti sulla nostra economia. Ha costretto ad aumentare di fatto la pressione fiscale, a causa della rigidità della spesa pubblica per stipendi e pensioni, a danno delle imprese, accrescendo le difficoltà del nostro sistema produttivo già messo a dura prova dalla concorrenza internazionale da parte di paesi in precedenza inattivi per ragioni politiche o di estrema arretratezza economica. La conseguente riduzione della domanda di lavoro da parte del sistema produttivo nazionale ha aumentato la pressione verso una spesa pubblica che accrescesse, direttamente o indirettamente, l’occupazione, ha esasperato la difesa dei posti di lavoro esistenti con un evidente danno in fatto di efficienza nell’uso del fattore lavoro.>>
In allegato il testo integrale.
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