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Alcuni numeri sullo sblocco dei licenziamenti
Il 1° luglio, tra qualche giorno, scadono la Cassa integrazione a causale COVID-19 e il blocco dei licenziamenti per le imprese rientranti nel campo CIGO/CIGS, di fatto quelle dell'Industria e delle Costruzioni.
La causale COVID-19 è quella che permette di usare la Cassa integrazione senza ticket di tiraggio a carico dei datori e soprattutto senza limiti di contatore (di durata del ricorso alle integrazioni).
Si tratta di un ammortizzatore straordinario introdotto a febbraio 2020 per contrastare l'impatto sull'economia e sul mercato del lavoro della pandemia COVID-19.
Le Costruzioni hanno già da qualche mese più che recuperato i livelli pre crisi da COVID-19. In questo ambito, lo sblocco non dovrebbe avere particolari conseguenze.
Per l'Industria, invece, dati Istat sui volumi di produzione (serie destagionalizzate) permettono di individuare i sottocomparti ATECO ancora in sofferenza per la crisi, secondo due condizioni:
(1) nella media dei primi quattro mesi del 2021, hanno fatto registrare riduzioni di almeno il 2 per cento rispetto al primo quadrimestre del 2019 (mesi non coinvolti dalla crisi);
(2) ad aprile 2021, continuano a far registrare contrazioni pari almeno al 2 per cento rispetto ad aprile 2019.
Le due condizioni permettono di individuare (prima tavola qui sotto) gli ATECO con livelli di produzione ancora in difetto per percentuali al di sopra di una soglia minima e che non hanno mostrato significative tendenze a migliorare nel primo quadrimestre 2021.
La soglia del 2 per cento è scelta volutamente bassa. Al di sotto di questa, si presume che l'andamento della produzione rientri ormai nel novero di una ordinaria congiuntura negativa e possa essere fronteggiato con CIGO/CIGS (che il decreto "Sostegni-bis" ha reso anche accessibili senza ticket di tiraggio sino a fine 2021). La tavola qui sotto riepiloga i risultati.
Sono ancora in sofferenza alcuni ATECO dell'Industria estrattiva, del Tessile e dell'Abbigliamento, della Stampa/riproduzione su supporti registrati, della Fabbricazione di derivati dal carbone e dal petrolio e, in misura minore, della Fabbricazione di prodotti farmaceutici di base e di preparati farmaceutici e della Fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi.
Questa evidenza può essere incrociata con l'altra, sempre di fonte Istat, che emerge dai Conti trimestrali nazionali su occupati dipendenti e loro ore lavorate (serie destagionalizzate).In particolare, la differenza tra le ore lavorate nel quarto trimestre 2019 (T4-2019) e quelle lavorate nel primo trimestre 2021 (T1-2021) fornisce una stima di quante forze di lavoro in meno possano essere necessarie per l'attività produttiva post COVID-19.
Infatti, se positiva (T4-2019 > T1-2021), la differenza nel monte ore lavorate, rapportata al carico medio orario che il dipendente aveva pre crisi in T4-2019, può essere considerata una stima delle minori forze di lavoro di cui le imprese possono avere bisogno e, quindi, dei possibili licenziamenti dal 1° luglio in poi.
Poiché tra T4-2019 e T1-2021 le forze di lavoro alle dipendenze sono già state adeguate alla crisi, con mancati rinnovi di contratti in scadenza e mancate attivazioni di nuovi rapporti (vigendo il divieto di licenziamento per motivazioni economiche), si deve tenere conto anche di queste scelte che le imprese hanno già compiuto. La stima dei possibili licenziamenti, valutata a partire dalla differenza nel monte ore lavorate, va dunque ridotta della differenza degli occupati dipendenti tra T4-2019 e T1-2021.
La tavola qui sopra riassume i risultati della stima di massima dei possibili licenziamenti per motivazioni economiche.
Per avere una idea di quale platea potrebbe essere coinvolta, ci si deve focalizzare sull'Industria, dal momento che per i datori di lavoro nel Commercio e nei Servizi il blocco dei licenziamenti scade il 31 ottobre 2021 (e sino ad allora avranno a disposizione la Cassa integrazione a causale COVID-19).
Ancor più nello specifico, ci si deve focalizzare sugli ATECO marcati con il segnaposto rosso () che comprendono i sottocomparti in cui i volumi di produzione sono ancora al di sotto di almeno il 2 per cento rispetto al pre crisi (i.e. le due condizioni prima citate a proposito della prima tavola).
Così stimate, le posizioni lavorative a rischio di licenziamento dopo il 1° luglio non superano le 100 mila unità.
Ma si tratta con ogni probabilità di una sovrastima, per tre ragioni di fondo.
In primo luogo, almeno per una parte di queste posizioni lavorative, a vario titolo adesso sottoutilizzate, si farà ricorso a CIGO/CIGS agevolate introdotte dal decreto "Sostegni-bis". Questa motivazione vale, anche con più forza, per tutti gli altri ATECO con ore lavorate inferiori al pre crisi ma ritmi di produzione che sono ritornati normali o quasi normali (per esempio i comparti del Manifatturiero non marcati con il segnaposto rosso nella seconda tavola qui sopra). Non c'è ragione di supporre che questi datori di lavoro vogliano ridurre permanentemente gli organici, se la loro produzione si è normalizzata e si va verso mesi di ulteriori miglioramenti come testimoniano le previsioni di Banca d'Italia e anche i dati dell'Istat su ordinativi, aspettative delle imprese sulle loro forze di lavoro e indicatori compositi di fiducia delle stesse imprese.
In secondo luogo, gli ATECO dove la produzione è ancora in ritardo rispetto al pre crisi (prima tavola) sono sottocomparti di quelli rispetto ai quali i Conti trimestrali permettono di osservare occupati e ore lavorate (seconda tavola).
In terzo e ultimo luogo, la stima riguarda soprattutto il Manifatturiero per il quale non sono ancora disponibili i dati su occupati e ore lavorate in T1-2021 che, ai fini dei calcoli, sono sostituiti con i dati del sicuramente meno favorevole T4-2020 (si allega il file .xls con le elaborazioni per chi volesse cimentarsi in valutazioni proprie). Basata su dati di T1-2021, la stima dei posti a rischio di licenziamento sarebbe stata inferiore.
Saremo pronti a seguire costantemente l'evoluzione dei fatti. Per adesso, è possibile affermare che trova conferma la recente stima dell'Ufficio parlamentare di bilancio che vede a rischio una platea di circa 70 mila lavoratori dipendenti che grossomodo coincidono con quelli che la Relazione tecnica al decreto "Sostegni-bis" segnala come in stato di intensa e prolungata Cassa integrazione a causale COVID-19.
Non sono pochi, soprattutto perché dietro ogni posizione c'è la vita di un lavoratore e di una famiglia. Non si tratta però di quello tsunami occupazionale che tutti abbiamo più o meno temuto nei momenti di più acuto impatto della pandemia da COVID-19.
Visto in questa prospettiva, il blocco dei licenziamenti ha svolto bene la funzione per la quale era stato introdotto: evitare scelte d'impulso da parte dei datori di lavoro nei mesi di crollo dell'attività economica, per posticipare ogni valutazione "a mente lucida", ristabilite condizioni di relativa nuova normalità anche grazie alle politiche economiche di rilancio nazionali e coordinate a livello europeo (PNRR incluso, anche se il vivo dei suoi interventi è ancora da venire).
Che cosa fare per sostenere la platea dei circa 70 mila a rischio? Si sta discutendo, in queste ore, di una possibile proroga ad hoc, solo per gli ATECO in difficoltà (il riferimento è soprattutto a Tessile e Abbigliamento), del blocco dei licenziamenti e della Cassa integrazione a causale COVID-19.
Aspettiamo di conoscere se e in che termini questo prolungamento sarà approntato dal Governo.
Ci si limita qui a sottolineare che si ha la sensazione che non sia stata sufficientemente comunicata alle imprese, ai lavoratori, all'opinione pubblica più in generale, l'ampiezza della misura già predisposta dal decreto "Sostegni-bis", che già permette, a quei datori che ne riscontrano la necessità, di mettere in Cassa integrazione i propri dipendenti, anche a zero ore, potenzialmente anche tutti, utilizzando le normali causali di attivazione delle Casse ma senza dover corrispondere il relativo ticket di tiraggio. La differenza rispetto alla Cassa a causale COVID-19 è nel contatore, che sulle normali causali ricomincia a essere consumato. Ma al 1° luglio il contatore arriva completamente intonso, dopo un anno e mezzo di causale COVID-19 extra contatore. Tutti i datori hanno spazio sufficiente per usare gratis la Cassa per i prossimi mesi, se si pensa che la durata di ricorso alla CIGO può spingersi sino a 52 settimane (senza ulteriori vincoli e anche con eventuale rinnovo se l'integrazione è attivata per fronteggiare eventi oggettivamente non evitabili), mentre l'utilizzo della CIGS può arrivare a durare sino a 24 mesi (30 nei settori delle Costruzioni, dell'Escavazione e della Lavorazione lapidea).
Insomma, forse, più che mettere mano in urgenza a una modifica del decreto "Sostegni-bis", potrebbe avere importanza una chiarificazione istituzionale, anche nella forma di appello che chiami i datori di lavoro a fare responsabile uso degli strumenti già esistenti e aspettare che nelle prossime settimane si concretizzino quei miglioramenti dell'economia cui puntano le misure nazionali e coordinate a livello europeo.
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