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L'1,5% tra montante e rendita
È rimasto sottotraccia e lontano dai riflettori dal 1995 a oggi, ma adesso merita molta più attenzione quel parametro dell’1,5 per cento, che funge da tasso di sconto per trasformare il montante nozionale in pensione o quota di pensione del primo pilastro, secondo le regole di calcolo contributive ad accumulazione nozionale. Questo parametro entra nel calcolo dei coefficienti di trasformazione da montante in rendita (i cosiddetti coefficienti “Dini”). Il Legislatore del 1995 (articolo 1, comma 11, della L. 335/1995) lo chiamò a rappresentare il tasso di crescita del PIL di medio-lungo periodo, l’arco di tempo grossomodo ventennale durante il quale sarebbe rimasta in erogazione la pensione o la quota di pensione contributiva calcolata sulla base dello stesso parametro.
In passato, rimasto al valore iniziale dell’1,5 per cento, il parametro ha svolto bene questa funzione, anche se le pensioni e le quote di pensioni contributive allora erano poche e di conseguenza il tema anche poco rilevante sia sul piano tecnico che del dibattito di politica economica. Oggi non è più così. Se si guarda alla dinamica recente del PIL e, soprattutto, alle proiezioni a lungo termine periodicamente rilasciate dalla Ragioneria generale dello stato e dal Gruppo di lavoro sull’invecchiamento della popolazione di AWG-ECOFIN, quel parametro appare sovradimensionato almeno di mezzo punto percentuale, proprio mentre le pensioni e le quote di pensioni contributive diventano sempre più numerose e costituiranno la maggior parte della spesa quando, a ridosso del 2040, questa toccherà la massima incidenza sul PIL superando il 17 per cento (la “gobba”).
Sinora, la revisione biennale dei coefficienti di trasformazione ha tenuto conto esclusivamente dei cambiamenti demografici (i progressi di aspettativa di vita e la probabilità di morire lasciando eredi con reversibilità), ignorando o sottovalutando il tasso di sconto, che pure rientra tra i parametri da sottoporre a verifica sin dal 1995, dal primo varo delle regole contributive ad accumulazione nozionale. Si tratta di un aspetto tecnico e poco apprezzabile della maggior parte dei cittadini, ma una operazione verità è necessaria: aiuterebbe a guardare in faccia la realtà e a spiegare alcune delle dinamiche alla base della “gobba”, e forse convincerebbe a reimpostare alla radice il dibattito su pensioni, previdenza e welfare, dove ancora si dubita che i requisiti di uscita debbano continuare ad aumentare di pari passo con la vita attesa, che le uscite anticipate debbano scontare il ricalcolo contributivo integrale, e che il pilastro ad accumulazione nozionale finanziato a ripartizione vada affiancato dal pilastro ad accumulazione reale finanziato dai frutti di investimenti su orizzonti lunghi.
Red. Ref.
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