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Il cuneo sul lavoro
In allegato .pdf si propone lo scritto integrale; qui di seguito alcuni passaggi che ne riassumono il messaggio centrale di policy.
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Falso mito o problema concreto? Ininfluente o distorsivo/depressivo? Solo termometro “incolpevole” di quello che non funziona o tassello strutturale su cui intervenire?
Da decenni, ormai, il cuneo fiscale e contributivo continua a dare fiato al dibattito di politica economica, riacceso adesso dal DL n. 3/2020 che ha innalzato a 100 euro il cosiddetto “Bonus Renzi” per i redditi da lavoro sino a 28 mila euro, e introdotto una detrazione fiscale temporanea per i redditi superiori a 28 mila e sino a 40 mila euro valida nel secondo semestre 2020 e con importo massimo di 600 euro decrescente nel reddito.
Per alcuni intervento inutile e dispersivo, per altri insufficiente a recuperare la distanza che separa l’Italia dagli altri Paesi.
Sia i primi sia i secondi fanno affidamento sulla complessiva riforma dell’impianto dell’imposizione personale sui redditi in programma nel 2021.
Intanto il tempo passa e, cuneo o non cuneo, i problemi restano. A cominciare da una differenza di metodo di cui poco si parla: un conto è riconoscere bonus fiscali per sostenere i redditi netti da lavoro, altro conto è cercare di ridurre il cuneo agendo corrispondentemente sulle spese che le risorse raccolte tramite lo stesso cuneo vanno a finanziare. Questo punto non è di secondaria importanza, se si ha in mente un nuovo migliore equilibrio strutturale e se si guarda alla composizione interna del cuneo italiano, la cui parte preponderante è fatta da contributi sociali a finalità pensionistica.
Non si deve trasformare il cuneo in una leva palingenetica, ma sarebbe anche un errore non riconoscere nel cuneo sia la manifestazione di esigenze di cambiamento inascoltate (reindirizzo delle specializzazioni industriali, investimenti e innovazione per innalzare la produttività e allargare la base occupazionale) sia, dopo decenni che l’intero sistema si è adagiato su un sentiero di stagnazione e lento declino, anche uno dei tasselli su cui agire per smuovere questo equilibrio negativo e fare germogliare qualcosa di nuovo.
In questa prospettiva, più che continuare a portare avanti un confronto astratto e anche un po’ di principio o ideologico, ci si dovrebbe sforzare di disegnare quegli interventi sul cuneo che possano contemporaneamente essere praticabili per le finanze pubbliche ed efficaci nel creare basi nuove per il lavoro. Si devono evitare interventi estemporanei, frammentati, rivolti solo a gruppi, parziali in attesa di completamento ma senza un progetto chiaro di nuovo assetto. Una delle ipotesi che appaiono più convincenti nel soddisfare queste caratteristiche è quella di una riduzione permanente dei contributi pensionistici al primo pilastro rivolta agli under-25 o agli under-35 per favorire la loro occupazione e il ringiovanimento delle forze di lavoro.
Se il welfare system è fonte non solo di benessere ma anche di crescita economica (e chi scrive lo crede fermamente), tanto più lo è se la spesa non è concentrata su un solo istituto e su una sola fase della vita, ma è articolata su più istituti in grado di attivarsi contestualmente ai bisogni e alle potenzialità di tutte le fasi della vita. In questo momento, il welfare system italiano pensa molto ai vecchi, molto ai giovani per quando tra trenta o quartana anni, saranno vecchi anche loro, e molto poco ai giovani adesso che sono giovani. Del cuneo fiscale e contributivo un giovane vede soprattutto gli effetti negativi immediati (meno reddito da lavoro netto) e solo lontani nel tempo, chissà mai se ci si arriverà e come, gli effetti positivi.
Non si deve aver paura che il taglio si riverberi integralmente sul calcolo della futura pensione, in ossequio alle regole contributivo-nozionali in vigore (le “Dini”). I redditi per la quiescenza dovranno trovare compensazione in carriere lavorative più lunghe e continue e in qualunque altra scelta che i giovani vorranno responsabilmente fare per preparare risparmi con cui integrare la futura pensione. Non si deve aver paura di questo cambiamento più di quanto non se ne debba già avere, e tanta, per le condizioni di debolezza cronica e di precarietà del lavoro a cui si stenta a trovare rimedio, che colpiscono soprattutto i giovani e che la crisi da COVID-19 sta rendendo ancora più crude.
Il cuneo non è la panacea ma può essere uno spiraglio per fare passare una ventata di aria fresca ed energie nuove sul lavoro e nella società. Forse è nella natura delle cose che i più anziani temano un cambiamento di questo tipo, ma forse è arrivato il momento di pensare prioritariamente ai giovani e di renderli un po' più protagonisti delle soluzioni.
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