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Contribuzioni in busta paga?
Il primo comma dell’articolo 23 della bozza di Legge di bilancio per il 2025 ripropone l’incentivo al prolungamento del lavoro. Rispetto alle edizioni del 2022 e del 2023, questo incentivo è rafforzato in una duplice dimensione: in primo luogo, adesso c’è l’esenzione fiscale per la contribuzione pensionistica girata in busta paga se si posticipa il pensionamento; in secondo luogo, l’incentivo si rivolge, non solo come gli scorsi anni a chi perfeziona il diritto a pensionarsi con le “Quote”, ma anche alla più amplia platea che entro il 2025 perfeziona il diritto all’uscita anticipata. Quante adesioni ci si può attendere? Poche, anche meno di quelle risicate riportate nella Relazione tecnica.
L’esperienza maturata nel tempo, sin dal primo bonus per incentivare il prolungamento del lavoro oltre i requisiti minimi di pensionamento (il “Maroni” del 2004), mostra la bassa appetibilità della misura. Dall’ampliamento dell’incentivo riproposto per il 2025 sarà improbabile che arrivi un cambiamento, perché anche il “bonus Maroni” prevedeva l’esenzione dall’imposta personale sui redditi dei contribuzioni pensionistici girati in busta paga (per giunta al tempo non solo quelli a carico del lavoratore ma anche quelli del datore), eppure il suo utilizzo rimase ben al di sotto delle attese.
Alla ricerca di spiegazioni logiche, questa RN ne propone due, entrambe coerenti con la prospettiva welfarista con cui è plausibile la grande maggioranza dei lavoratori si ponga di fronte a questo tipo di opzioni/scelte.
La prima riguarda l’importo dell’assegno pensionistico che, in misura più o meno ampia a seconda della prevalenza delle regole retributive o contributive, viene ridotto dalla scelta di ricevere le contribuzioni pensionistiche in busta paga distogliendole dal primo pilastro, anche se poi l’accesso alla pensione è in effetti posticipato. Evidentemente, negli ultimi anni di carriera, quelli interessati dalla possibilità di avvalersi degli incentivi al posticipo, quando già si intravede il pensionamento e le quantificazioni dell’assegno appaiono realistiche e concrete rispetto a quelle basate su ipotesi evolutive che si possono fare in età relativamente più giovani anche utilizzando il software messo a disposizione dall’INPS, questa motivazione conta, soprattutto per i redditi medio-bassi, facendo passare in secondo piano le disponibilità liquide che possono crearsi nell’immediato.
La seconda motivazione è strettamente connessa alla prima. Se l’obiettivo del lavoratore è di tipo welfarista, e cioè quello di massimizzare le risorse per la quiescenza, non è conveniente ridurre la contribuzione al pilastro pubblico pochi anni prima del pensionamento. È infatti difficile trovare in tempi stretti allocazioni alternative di quelle risorse che, nel giro di pochi anni (la durata del prolungamento), permettano di costituire rendite che abbiano grossomodo lo stesso inizio, la stessa durata, lo stesso aggancio all’inflazione, ma siano di importo superiore rispetto alla rendita ottenibile rimanendo regolarmente nel pilastro pubblico.
Per chi non ha urgenza di lasciare il lavoro e non ha bisogno immediato di liquidità, la strategia dominante è quella di continuare gli ultimi anni di carriera in condizioni di normale contribuzione al primo pilastro.
Si deve prestare molta attenzione a non confondere questa disamina con una valutazione negativa del sistema pensionistico multipilastro, che è tutt’altra cosa. Un conto è ricevere in busta paga i contributi pensionistici negli ultimi anni pre pensionamento e trovarsi a decidere in tempi stretti che cosa farne per valorizzarli a fini pensionistici; altro conto è partecipare per periodi molto più lunghi (auspicabilmente anche tutta la vita attiva) a un fondo pensione, investitore istituzionale specializzato nella previdenza, con il sostegno di agevolazioni fiscali durante le fasi di contribuzione, accumulazione e accesso ai benefici, e all’interno di un quadro normativo e regolatorio a garanzia della sicurezza del risparmiatore e dell’adeguatezza della gestione patrimoniale. Vietato confonderli! Ma questo, probabilmente, i lavoratori e le famiglie lo hanno già capito, almeno dal 2004.
Di riduzione dei contributi al pilastro pubblico si può e si deve discutere e tante volte lo si è fatto sulle collane di Reforming, ma con l’obiettivo di dare slancio al sistema multipilastro e non per fare arrivare liquidità in maniera improgrammata e tardiva ai lavoratori a fine carriera. Anzi, nella misura in cui forme estemporanee di decontribuzione dal pilastro pubblico, come i bonus a fine carriera per il prolungamento del lavoro, trasmettono la falsa sensazione di svecchiamento del sistema e di una raggiunta maggiore flessibilità nell’allocazione del risparmio, è bene che esse non vengano più rinnovate, per non distogliere attenzione e sforzi dalla vera sfida cruciale che va colta e risolta nei prossimi anni, ovvero il passaggio a un compiuto sistema pensionistico multipilastro prima che sia troppo tardi.
Red. Ref.
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