Chi decide sul Farmaco?

A pochi mesi di distanza l’una dall’altra, sono sopraggiunte due sentenze della giustizia amministrativa riguardanti la valutazione comparativa dei farmaci, con particolare riferimento ai biologici originator e biosimilari.

È utile passarle rapidamente in rassegna perché sembrano decidere in maniera opposta su fattispecie molto simili ed è da questa loro apparente contraddizione che possono scaturire osservazioni importanti su governance e regolazione in farmaceutica.

La prima sentenza  (Consiglio di Stato) esclude che le Regioni possano emanare raccomandazioni sull'utilizzo dei farmaci da parte dei medici, mentre la seconda (TAR del Piemonte) riconosce la legittimità, e per certi versi anche la necessità, che le Regioni si preoccupino di sensibilizzare i medici verso le terapie che, a parità di efficacia, pesino meno sui bilanci del sistema sanitario.

La Nota Reforming, allega in formato .pdf, argomenta che la contraddizione scompare se le raccomandazioni sull’uso del farmaco e sullo switch prescrittivo originator - biosimilare derivano da evidenze cliniche e best practice supportate dalla comunità scientifica internazionale e recepite in maniera formale dall’AIFA per tutto il territorio nazionale.

È rispetto a tali best practice, connotate di autorevolezza e costruite a partire dalla più vasta disponibilità studi e di dati clinici, che il medico può essere chiamato a giustificare come mai, nel caso soggettivo da lui in cura, abbia eventualmente preferito discostarsene.

I LEA troverebbero garanzia in raccomandazioni valide su tutto il territorio nazionale, le Regioni potrebbero fare affidamento su una normativa di base dappertutto attenta anche al contenimento delle spese, i medici rimarrebbero liberi di esprimersi diversamente alla luce della loro conoscenza dello specifico caso soggettivo in cura. Sarebbe una governance improntata alla trasparenza.

Non è facile individuare e mantenere l’equilibrio più corretto tra best practice “universali” e loro eventuale adattamento allo specifico caso clinico. Grande responsabilità assumono i medici e le direzioni dei reparti ospedalieri che, da un lato, devono essere costantemente aggiornati sugli avanzamenti terapeutici e sulle innovazioni farmacologiche e, dall’altro, devono valutare di volta di volta in sede clinica se discostarsene e come.

Lungo questo percorso l’Italia appare ancora impreparata ed è presumibile che, in assenza di un nuovo inquadramento della problematica su scala unitaria nazionale, nei prossimi mesi/anni altre iniziative regionali (anche sorte con le migliori finalità e non sprovviste di professionalità medica) vadano a scontrarsi con difetti giuridici, di sostanza non solo di forma!, con risvolti in sede di giustizia amministrativa, costituzionale ma anche civilistica e penale.

Un esempio a cui guardare può essere quello del NICE (The National Institute for Health and Care Excellence), istituzione indipendente e altamente specializzata che ormai da anni supporta il sistema sanitario del Regno Unito predisponendo raccomandazioni e linee guida cliniche per raggiungere i più alti standard possibili nella cura dei pazienti, a fronte di specifiche patologie e considerando anche concomitanti caratteristiche soggettive del paziente.

Sul “metodo NICE” potrebbero essere ripensati ruolo e funzioni dell’AIFA, anche se, per la stessa regione per cui l’approccio regionale o locale va superato il prima possibile, da subito ci si dovrebbe sforzare di adottare, magari per passaggi graduali, una visione europea, coinvolgendo tutte le Agenzie/Autorità settoriali e la stessa EMA nella messa a punto e nell’aggiornamento delle best practice.