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Eumenidi per Gaza
Nel mondo pre-istorico non c'è differenza tra Giustizia divina e giustizia dell'uomo. La gravità della pena insegue all'infinito quella della colpa e inchioda tutti e tutto a un eterno presente in cui la memoria perfetta del male e dei danni ricevuti sovrasta qualunque altra cosa, qualunque possibilità di evoluzione e miglioramento. In mano agli uomini, mortali e fallibili, pene assolute, invece che cura definitiva, diventano nuovi mali di cui altri uomini prima o poi cercano il lavacro.
Finché non arriva il primo processo, il processo a Oreste. Il mito porta traccia di quel cambiamento epocale per i cittadini e la società. La vicenda del clan di Agamennone è solo un esempio, espressionista e paradigmatico come tutti i miti greci, di quella presa di coscienza necessaria alla sopravvivenza e alla felicità, le due ragioni universali che da sempre, dal mondo antico alle nostre Costituzioni, ispirano e improntano pensieri, scelte, sforzi. Non si può pensare alla felicità se si è schiavi di un eterno obbligo a punire con pene esemplari i danni e i mali che a loro volta sono stati pensati come pene esemplari destinate ad aprire nuovi corsi che poi non sono mai arrivati. Lo racconta Eschilo ne "Le Eumenidi".
Agamennone, Re di Micene, parte alla testa degli Achei per radere al suolo la rocca di Troia e stabilire la Giustizia dopo l'oltraggio dei Principi troiani, che per il mito è il ratto di Elena di Sparta, per la verità storica è più plausibilmente una concorrenza commerciale, una violazione di confine, una pretesa di spazi di influenza, mire di grandezze e potere, o qualunque altra ricerca di maggiore felicità che per realizzarsi deve passare sulla felicità degli altri, magari travestita da precetto divino. Avranno avuto esattamente lo stesso Pantheon gli Achei e i Troiani?
"R a d e r e a l s u o l o"... anche allora, come tante altre volte dopo, non l'avvio di un'epoca d'oro ma l'inizio di storie perigliose e di sofferenze, stando ai miti, a Omero e al teatro greco. Perché da quella spedizione di guerra, che arriva a noi tramandata come una specie di Big Bang del mondo antico, prendono l'avvio molteplici storie, compresa quella messa in scena da Eschilo nelle trilogia "Orestea" ("Agamennone", "Coefore", "Le Eumenidi").
Per ottenere auspici di vittoria per gli alleati Greci, Agamennone non esita a sacrificare la figlia Ifigenia. Mentre il Re è lontano a combattere, sua moglie Clitennestra progetta il suo piano per vendicare il dolore di madre e l'abbandono di moglie. Si unisce a Egisto che così usurpa il trono di Micene. Al ritorno del vero Re, la situazione precipita. Clitennestra ed Egisto uccidono Agamennone sperando di conquistarsi una vita agiata e prosperosa. Ma l'eliminazione del coniuge è solo uno dei momenti della catena della rabbia e del dolore che chiama altra rabbia. Il figlio di Agamennone e di Clitennestra, Oreste, accecato dal dolore e dalla rabbia giustizia sia Egisto che la sua stessa madre.
Il dolore assoluto per l'assassinio del padre può essere sanato uccidendo la madre? Non è questo l'effetto su Elettra, altra figlia di Agamennone e Clitennestra, come raccontano le due "Elettra", quella di Sofocle e quella di Euripide. Anzi, mentre alcune versioni del mito la descrivono complice del fratello e più di lui assetata di sangue ("Colpisci due volte!", gli urla), altre riportano di stravolgimenti psicologici che la forzano, nel dubbio se odiare più il padre, che aveva ucciso la sorella maggiore e abbandonato la famiglia, o la madre, fedifraga e gelida coi figli, a indirizzare, dopo la morte della madre, la non ancora sazia sete di rivalsa proprio su Oreste, l'ultimo a cercare di fare Giustizia assoluta e, proprio per questo, l'ultimo ad aggiungere dolore a dolore.
Ma non è questo l'effetto neppure su Oreste, per cui ha inizio il tormento interiore, assassino della madre e odiato dalle sorelle (forse Elettra, sicuramente la mite Crisotemide). Ma la sequenza di odi che chiamano odi viene da ancora più lontano, addirittura da prima della spedizione contro Troia, perché Egisto è un cuginastro di Agamennone, nato da rapporti torbidi e vendicativi interni ai reali micenei per chi debba comandare sul Peloponneso. Persino Troia, la Guerra per antonomasia, l'esplosione originaria che sparpagliò eroi e popoli sullo specchio del Mediterraneo, appare un capitolo di una insaziabile fame vendicatoria che, non arginata, passa dalla dimensione personale a quella della comunità e, addirittura, a quella dei rapporti tra Nazioni.
Di Elettra si sa che lo sfogo della rabbia non la libera dalla disperazione. Finisce povera, lontana dai fasti e dagli onori della Casata micenea. Non va meglio a Oreste, cui i tormenti interiori non danno tempo e forze per fare altro. Lui l'ultimo degli Atreidi, senza più discendenti. La catena dell'odio non lascia più niente. Tuttavia, Oreste riesce in uno sforzo che tutti gli altri non hanno neppure preso in considerazione. Alla fine, smette di cercare la Giustizia assoluta, quella che deve rimettere tutto a posto dal primo istinto all'ultima goccia di sangue, e prova a usare ragione e logica. Troppo tardi per rifarsi una vita, non tardi per capire qualcosa di più. Non si rivolge a uno dei molteplici Numi greci della Giustizia, Temi, Dike, Ananke, Nemesi, ma all'unica Dea della Ragione: "Dimmi tu, industriosa coltivatrice di ulivi e viti e amica della civetta Minerva che riesce a guardare lontano anche nella notte, chi ha sbagliato e chi è innocente in questa lunga storia, ben più lunga della vita di un solo uomo? E come si fa a interrompere i lutti?".
E accade, per la prima volta, che Atena, una Divinità superna, ammetta che non può giudicare, non sa. Uno dei rari casi in cui un Dio ammette di non avere soluzione, ammette le cose umane sono più complesse di quelle divine. Perché quando, per così tanto tempo, il dolore cerca soddisfazione infliggendo dolore e basta, senza cercare via di uscita, diventano tutti colpevoli e vittime. Perché è lo stesso peso del dolore, accumulato di generazione in generazione, di era in era, a togliere agli uomini capacità di liberarsi e di cercare nuova felicità, e al giudizio finale il suo stesso significato.
I fatti umani - è questo il responso di Atena - sono diventati più grandi di un Dio figuriamoci di un solo uomo, quello che di passo in passo si trova a dovere scegliere se e come rimetterli a posto. Atena non sa, ma chiede che le Erinni, le creature ctonie personificazioni degli istinti di vendetta, si plachino e permettano alla comunità degli uomini di discutere in Aeropago, in Assemblea. Non cacciate dal consesso e perseguitate, ma fatte accomodare anch'esse perché possano dare la loro testimonianza della forza che sprigiona dal dolore, tanto più distruttiva se misconosciuta e repressa.
Si tratta del primo processo in chiave moderna alla ricerca, non della parola calata dall'alto degli Dei o di punizioni definitive richieste dall'Olimpo, ma della ricostruzione più limpida ed equanime dei fatti, avendo in mente la liberazione dalla servitù dell'odio, e a cuore le premesse per la giustizia umana in futuro almeno quanto la valutazione della giustizia umana sull'accaduto in passato. Il processo come percorso di ragione e non come arma di parte.
Oreste viene assolto e alle Erinni, con il loro nuovo nome di Eumenidi, data una casa non molto distante dall'Aeropago, un antro in cui possano trovarsi a loro agio con la loro natura viscerale e da dove possano continuare a lanciare moniti alla Città e al Mondo: "Se ci accorgiamo del sonno della ragione, siamo pronte a riemergere per chiedere subito e tutto quello che ci spetta".
Oreste alla fine insegna che si è sempre in tempo per utilizzare la ragione e la parola.
15 Ottobre 2023
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Nell'immagine:
"Bozzetto per il manifesto de Le Eumenidi" (1948)
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