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Legislatore dormiente e Corti di riserva
Maurits Cornelis Escher (1898-1972), "Mani che (si) disegnano"
Giurisdizioni superiori restie a emettere sentenze od ordinanze che possano avere effetti sistemici macroscopici sulla spesa pubblica o sulle politiche di bilancio. Il Legislatore che tarda ad adottare soluzioni coerenti sul piano giuridico e sostenibili su quello economico-finanziario. Tribunali ordinari, Corti di giustizia tributaria territoriali e, più in generale, Giudici dei primi livelli di giudizio che nei singoli casi loro sottoposti tendono a dare precedenza ai diritti soggettivi violati, non incaricandosi di preoccupazioni sistemiche, e giustamente perché non ne sono investiti e non è il loro compito. Un gioco ripetuto a tre giocatori a cui converrà dare presto altre regole e soprattutto altri esiti. Se ne discute in questo contributo scritto.
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Fanno sollevare dei dubbi alcune delle più recenti decisioni di Giudici di vario tipo (costituzionale, ordinario, speciale tributario) su controversie che hanno ricadute sugli equilibri di finanza pubblica e sulle decisioni di bilancio. Se questi dubbi fossero confermati nel prossimo futuro, metterebbero in luce una tendenza molto rischiosa. La finalità di questo commento è proprio richiamare l'attenzione e correggere per tempo tale tendenza.
La Corte costituzionale ha più volte emesso sentenze caratterizzate da una contraddizione di fondo: da un lato sono messi in rilievo aspetti di incostituzionalità che obbligherebbero a censurare e anche a caducare immediatamente commi e articoli di legge, dall'altro lato la stessa Corte manifesta apertamente l'esigenza di fermarsi qualche passo prima per evitare conseguenze troppo forti delle sue decisioni sulle finanze pubbliche e sulle scelte di bilancio, non mancando però di invocare interventi urgenti del Legislatore ordinario a ridisegnare e ricomporre il quadro normativo. Reforming ha commentato tre sentenze della Suprema Corte particolarmente esemplificative di questo atteggiamento: due (2021 e 2023) riguardo i tempi di pagamento del TFR ai dipendenti pubblici, la terza (2023) riguardo l'assegnazione ai Comuni di risorse con vincolo di destinazione e aggiuntive rispetto a quelle del Fondo di solidarietà comunale. In tempi precedenti, questa stessa prudenza del Giudice costituzionale era emersa, in varia misura, nelle sentenze riguardanti il contributo di solidarietà e il raffreddamento dell'indicizzazione all'inflazione per le pensioni di importo relativamente più elevato, col richiamo al principio di sufficiente proporzionalità e adeguatezza in attesa di una risistemazione strutturale (la stessa annunciata da ultimo dalla Legge di bilancio per il 2024).
A luglio 2024, la cautela delle Giurisdizioni superiori nel decidere su fattispecie con effetti potenzialmente macroscopici sulle finanze pubbliche ha trovato un'altra esemplificazione che ha avuto molta eco nel dibattito tra specialisti e sulla stampa. La Corte di cassazione con l'Ordinanza 12708/2024 ha, infatti, annullato le precedenti decisioni della Commissione tributaria provinciale di Milano e della Commissione tributaria regionale della Lombardia, ritenendo infondata la richiesta della società Servizi Tecnici S.r.l. di non essere ritenuta morosa nei confronti dell'Agenzia delle entrate per il mancato versamento delle imposte sui redditi (IRES), in quanto nel contempo creditrice di ingente somma, anche superiore allo stesso debito verso l'Agenzia, per prestazioni già fornite alla Pubblica Amministrazione e per le quali la PA è in sistematico grave ritardo dei pagamenti. Su questo stesso tema, in verità, la Corte di cassazione si era già espressa, e sempre nello stesso senso, nel 2022 (Sentenza 11111.2.4.1 del 6 aprile 2022).
La Corte ha ribaltato le argomentazioni sulla cui base le Commissioni tributarie avevano dato ragione alla società Servizi Tecnici S.r.l.. I ritardi dei pagamenti della PA ─ sostiene l'Ordinanza ─ sono risaputi e ormai fanno parte del contesto in cui si svolgono tutte le interazioni tra la PA e i soggetti imprenditoriali che forniscono prestazioni, beni o servizi che siano, alla PA. Per questa ragione, essi non costituiscono evento straordinario che possa giustificare deroghe al quantum e ai tempi dei doveri fiscali, tenuto anche conto della articolazione per territori e per uffici della PA che impedisce di considerarla come un unico soggetto giuridico integrante anche la Agenzia delle entrate. Si deve ritenere ─ per la Corte di cassazione ─ che i ritardi di pagamento della PA facciano parte del normale rischio di impresa, nella forma specifica del rischio di controparte, e che per fronteggiarli le imprese (e nella fattispecie la Servizi Tecnici S.r.l.) debbano premunirsi ex-ante, indirizzandosi alle controparti più affidabili e attraverso adeguata programmazione dei flussi di cassa, oppure cercare di volta in volta rimedi ex-post, per esempio attraverso prestiti bancari o l'accensione di mutui anche assistiti dalla garanzia dei crediti vantati con la PA. Per inciso, il termine ordinario di pagamento della PA è a 30 giorni dal ricevimento della fattura, ai sensi del D. Lgs. 231/2002, attuativo per altro di Direttive europee sul tema.
La pretesa normalità dei ritardi dei pagamenti della PA verso le sue imprese fornitrici ha, alla base, le stesse valutazioni complessive che hanno spinto l'altra Corte, la Corte costituzionale, a ritenere la materia dei "diluviani" tempi di pagamento del TFR bisognosa sì di urgenti interventi di risistemazione organica, ma nel frattempo non meritevole di censura immediata. I cittadini ex lavoratori pubblici sono, al pari delle imprese, creditori della PA per prestazioni già interamente fornite, essendo il TFR retribuzione differita per prestazioni di lavoro avvenute anni prima. Sia nel caso delle imprese che in quello dei cittadini ex dipendenti pubblici, se le Corti avessero deciso a favore dei creditori, l'impatto sui conti pubblici sarebbe stato molto forte.
Per il TFR, la Ragioneria generale dello Stato, stimando le ricadute della Proposta di legge C. 1254 per la riduzione dei tempi di pagamento sino alla quasi equiparazione al comparto privato, ha valutato la maggiore spesa in circa 4 miliardi all'anno per i 4-5 anni grossomodo necessari a raggiungere il nuovo regime. Per di più, nel caso la Corte costituzionale avesse ritenuto illegittima la normativa sul TFR, sarebbero potute sorgere anche cospicue spese aggiuntive se le coorti di lavoratori che in passato hanno già percepito il TFR con anni di ritardo avessero deciso di ricorrere al Giudice per il ristoro dei danni. Persino i legittimi eredi dei lavoratori avrebbero potuto ipotizzare un ricorso al Giudice.
Per i pagamenti ritardati ai fornitori, invece, se la Corte di cassazione avesse confermato le decisioni delle Commissioni tributarie, dando ragione all'impresa creditrice, gli effetti sul bilancio pubblico e sui flussi di cassa della PA avrebbero potuto essere ancora più dirompenti. Tutte le imprese fornitrici si sarebbero sentite in diritto di sospendere i pagamenti dell'IRES sino a un ammontare equivalente al credito vantato verso la PA. Di fatto, una reazione di questo tipo avrebbe significato l'azzeramento tout court dei ritardi di pagamento. L'ordinanza veicola invece il messaggio opposto, e l'Agenzia delle entrate ha adesso fondamenta giuridiche più solide e nette per costituire immediatamente in mora qualsiasi contribuente in ritardo sul pagamento delle imposte, senza alcuna considerazione su aspetti contingenti, soggettivi e oggettivi, a cominciare proprio dalla dimensione dell'eventuale credito del contribuente verso la PA e dall'entità del ritardo con cui la PA sta procedendo ai pagamenti a suo favore.
In sintesi, la comune chiave di lettura delle pronunce delle Giurisdizioni superiori appare essere proprio la consapevolezza dei risvolti su larga scala, sistemici, che obbligano a dare la precedenza a finalità di tutela dell'equilibrio anche a costo di incorrere in contraddizioni o in forzature dal punto di vista giuridico, e rimandando al Legislatore ordinario l'adozione di misure correttive gradate e sostenibili, o direttamente richiedendone l'intervento come nel caso dei tempi di pagamento del TFR, o catturando la sua attenzione, assieme a quella dell'intero dibattito, con argomentazioni che rasentano il surreale, come nel caso dei tempi lunghi di pagamento della PA ai suoi fornitori di beni e servizi.
Un atteggiamento diverso si percepisce, invece, nei gradi inferiori di giudizio. Poiché si fa riferimento a un numero ristretto di pronunce, si tratta di una intuizione che però, vista la rilevanza del tema, non va sottovalutata e di cui va cercata conferma o smentita nei prossimi casi che potranno approdare alle Giurisdizioni superiori dopo avere compiuto tutto il percorso. Le Commissioni tributarie locali, prima del giudizio finale della Cassazione, avevano dato ragione alla ricorrente Servizi Tecnici S.r.l., mettendo in primo piano gli aspetti contingenti del caso specifico su cui erano state sollecitate a pronunciarsi e, in particolare, l'ingente credito verso la PA che inaspriva i problemi di liquidità in un periodo ─ gli anni subito dopo la crisi del 2008 ─ già molto difficile per le imprese. Allo stesso modo, il Tribunale ordinario di Roma (in funzione di Giudice del lavoro) e il TAR del Lazio, che avevano sollevato questioni di legittimità costituzionale della normativa del TFR dei dipendenti pubblici, poi rigettate dalla Corte, nelle loro ordinanze di rinvio alla Corte sottolineavano le ripercussioni negative dei lunghi tempi di pagamento sulle funzioni dell'istituto del TFR che, come retribuzione differita, è sorto esattamente con la finalità di mettere a disposizione del lavoratore una scorta reddituale nel momento di conclusione del rapporto di lavoro e, a maggior ragione, di conclusione della carriera e di passaggio in quiescenza, quando possono sorgere esigenze di spesa straordinarie e/o impreviste. Anche nel caso del TFR, la prospettiva dei Giudici ordinari è stata quella della sfera soggettiva del lavoratore, e infatti gli articoli della Costituzione chiamati in causa sono il 3, il 36 e il 38: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge [...]. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese"; "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. [...]"; "Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. [...]".
La maggiore propensione dei Giudici del primo o dei primi due livelli di giudizio a rimanere nel perimetro stretto del caso portato al loro esame, senza patire limiti che possano discendere dall'ipotizzare la loro pronuncia estesa tout court su scala Paese, ha recentemente trovato ulteriori conferme in ambito sanitario. Negli ultimi anni, più volte il Giudice ordinario ha emesso ordinanze per obbligare Il Servizio sanitario regionale, o addirittura la specifica struttura ospedaliera, a fornire urgentemente prestazione terapeutiche e/o diagnostiche. Alla base delle ordinanze ci sono sempre stati la verifica dell'urgenza e il riferimento agli articoli 32 e 117 della Costituzione: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. [...]"; "[...]Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: [...] m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale [...]".
Il più recente di questi interventi del Giudice ordinario si è verificato a Matera alla fine del 2023, quando il Tribunale ha ordinato all'Azienda sanitaria locale materana (ASM) di eseguire un esame diagnostico su una paziente da troppo tempo in lista di attesa. Si è trattato di una ordinanza privata, indirizzata solo alle parti, a dimostrazione dell'intenzione del Tribunale di pronunciarsi solo e soltanto sul caso specifico, senza alcun riflesso su altri diritti e doveri ultronei rispetto a quelli in capo alle parti. Negli articoli a stampa si sono letti alcuni stralci della ordinanza: "[...] in ragione degli interessi di rango costituzionale coinvolti, grava sull’Azienda un dovere di assoluta collaborazione con gli utenti che richiedono le tutele previste dall’articolo 32 della Costituzione"; "[...] la salute è un bene della persona oggetto tanto di un diritto fondamentale quanto di un interesse pubblico"; "[...] il fatto che non vi fosse nell’immediato una concreta disponibilità, non esclude affatto la responsabilità dell’Ente qualora lo stesso non abbia adottato, nel corso degli anni, un programma di gestione degli interventi, armonico, sistematico e ragionevole, improntato a veri modelli organizzativi, in grado di evadere nei termini prescritti gli esami (specie quelli di urgenza), che non sia stato, poi, possibile rispettare per ragioni di assoluta imprevedibilità ed eccezionalità che, sorprendendo ogni ragionevole programmazione ed organizzazione, abbia reso impossibile la prestazione".
La domanda da porsi è che cosa accadrebbe se, indipendentemente gli uni dagli altri, numerosi Tribunali della Repubblica Italiana, aditi da cittadini che si scontrano con il grave problema delle liste di attesa di fatto in tutte le aree del Paese, cominciassero a emettere ordinanze per intimare alle strutture del SSN di effettuare terapie e diagnostiche seduta stante, subito. Appare del tutto utopico immaginare che così sarebbero risolti i problemi delle liste di attesa. I problemi cambierebbero forma ma non sostanza, perché le ordinanze dei Tribunali andrebbero a formare nuove liste di attesa, plausibilmente per ordinamento temporale rispetto alla data di pronuncia del Giudice, che si sostituirebbero alle liste di attesa ordinate dalle strutture del SSN per data di prenotazione e/o per livello di urgenza rilevato dai medici. I "colli di bottiglia", le reali ragioni che creano e allungano le liste di attesa, rimarrebbero tel quel. Forse potrebbe solo ottenersi un qualche miglioramento di efficienza sotto il pungolo giuridico e il timore di responsabilità civili e penali, ma anche questo esito sarebbe opinabile soprattutto se i casi che tentassero di accedere alla prestazione per via giurisdizionale fossero tanti, al di là di quelli che possono essere risolti con cambiamenti e sforzi organizzativi nel breve-medio periodo.
Come si sarebbe pronunciata la Corte costituzionale se il Tribunale di Matera, o altro Tribunale adito su fattispecie simile, Le avesse rimesso la questione, sollevando eccezioni di incostituzionalità, per esempio sulle regole con cui sono formate le liste di attesa, spesso diverse tra Regioni e anche all'interno della stessa Regione, o sui vincoli di spesa, o sulla programmazione delle assunzioni di medici, o ancora sulle regole di accreditamento e di rimborso sia intra che extra Regione? Non è escluso che la Corte possa essere effettivamente per qualche via coinvolta nei prossimi mesi, visto che il problema delle lunghe file di attesa continua e il decreto recentemente approvato dal Governo tarda a essere convertito (plausibile a oggi la sua decadenza) anche per le critiche avanzate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che riguardano soprattutto il mancato stanziamento di risorse fresche aggiuntive.
Non è dato sapere come si sarebbe comportata la Corte costituzionale ma si può arguire, sulla base delle pronunce degli anni scorsi e in particolare di quelle citate poco sopra, che la Corte avrebbe cercato il bilanciamento di più valori e principi, seguendo la stessa linea di logica equilibrata che ha informato le altre pronunce quando influenzanti in maniera diretta e pervasiva i conti pubblici. Avrebbe richiamato i punti in cui la normativa confligge o è a rischio di confliggere con alcuni principi costituzionali, e avrebbe sollecitato il Legislatore ordinario a interventi di risistemazione organica e lungimirante, capaci di perseguire, nel contempo, i diversi obiettivi che trovano tutela nella nostra Carta incluso quello dell'equilibrio di bilancio. Si può ritenere che la Corte avrebbe continuato a non confondere la sua prospettiva con quella dei Giudici ordinari o dei Giudici di prime cure. Questi ultimi, come Giudici di merito sul singolo caso specifico possono concentrarsi sulla giustizia di questo stesso caso, anzi ne hanno il dovere, talvolta anche all'insegna del kantiano "fiat iustitia, pereat mundus"; la Corte invece, consapevole che il suo giudizio si riflette sulla vita di porzioni dell'intero corpo normativo, non può non tenerne conto, soprattutto quando le norme censurabili hanno un contenuto tecnico e si riferiscono a settori e comparti ─ come la sanità e la farmaceutica ─ complessi e per i quali ogni cambiamento va attentamente ponderato dal Legislatore ordinario all'interno delle diverse soluzioni possibili. Per la Corte costituzionale non può valere il "fiat iustitia, pereat mundus", il "sia fatta giustizia ora, qualsivoglia siano le conseguenze", perché per la Corte il mondo non può finire con l'atto di giustizia, quantunque in sé perfetto, ma la Corte ha il dovere di tutelare la continuità costituzionale, ovvero di tutti i principi ivi contenuti. Per la Corte varrebbe piuttosto il brocardo "fiat iustitia, ne pereat mundus".
Alla luce di queste considerazioni, anche l'Ordinanza 12708/2024 della Corte di cassazione ─ da cui questo scritto ha tratto ispirazione ─ appare in una luce sempre opinabile e forse ancora un po' inquietante per i non esperti, ma meno tranchant. Come Giudice di ultima istanza, infatti, questa Corte è consapevole che le sue pronunce costituiscono precedenti che potranno orientare le future sentenze degli altri Giudici, nelle Giurisdizioni ordinarie, speciali e superiori. Non può, pertanto, non sentire il peso delle conseguenze sistemiche che possono scaturire dalle sue pronunce. Per continuare con l'esempio costruito prima, se la Corte di cassazione avesse confermato tout court le pronunce delle Commissioni tributarie provinciale e regionale, ne sarebbe scaturito un messaggio pericoloso e generalizzabile: quello che fosse lecito, per tutte le imprese, intendere come sospesi i propri doveri fiscali sino a concorrenza con l'importo dei crediti nei confronti della PA, tra l'altro misurati secondo auto-valutazioni che potrebbero anche soffrire di errori e omissioni. L'ordinanza tiene invece fermo il vincolo che i doveri fiscali non possono essere sminuiti o condizionati, soprattutto in un Paese che già soffre di endemici problemi di evasione ed elusione. Da un lato, la soluzione dei gravi ritardi dei pagamenti della PA va affrontato con altre più appropriate ed efficaci misure; dall'altro lato, un via libera a sospensioni dei doveri fiscali o a compensazioni più o meno automatiche non affronta le radici del problema e, paradossalmente, potrebbe addirittura renderlo più pesante o addirittura dirompente, enfatizzando nell'immediato i vincoli di risorse e liquidità delle varie articolazioni della PA che sono tra le cause dei ritardi. Verrebbe qui da osservare che, se tra le ragioni alla base della pronuncia ci sono anche le difficoltà di liquidità della PA, non si possono non considerare le stesse omologhe difficoltà in capo all'impresa che non viene pagata delle sue prestazioni e persino in capo al lavoratore pubblico che deve aspettare anni prima di ottenere l'interezza di quanto gli spetta come TFR. Ma è solo un esempio in più delle vaghe aporie che si stanno ripetendo nelle pronunce delle Giurisdizioni superiori quanto è toccata la finanza pubblica.
Se le argomentazioni a corredo dell'ordinanza fossero state di questo tenore, la posizione assunta dalla Corte sarebbe apparsa più ragionevole. C'è stato, invece, un vero e proprio errore di comunicazione nell'affermare che i ritardi rientrano tra le condizioni "ambientali" con cui le imprese devono sapersi misurare e alle quali devono darwinianamente adattarsi. Al di là di quello che c'è scritto nell'ordinanza, anche una sua migliore e più attenta presentazione al pubblico avrebbe aiutato a renderne meno oscura la ratio e meno sconsolata e rassegnata l'impressione che lascia al cittadino che la legge. Anche per la Corte di cassazione potrebbe essere utile cominciare a prevedere dei momenti di presentazione delle pronunce al pubblico in modalità adeguata e sicura, secondo lo schema che il Prof. Giuliano Amato ha inaugurato per la Corte costituzionale negli anni del suo mandato presidenziale (si veda anche il link della Rivista "Sistema Penale"). Questo è, ovviamente, un altro tema di cui si potrà discutere in futuro.
Passando invece alle conclusioni sull'argomento in discussione, i diversi atteggiamenti dei Giudici di prime cure e dei Giudici delle Giurisdizioni superiori, qui esaminati con riferimento a cause coinvolgenti direttamente gli equilibri di finanza pubblica, hanno le loro ragioni e soprattutto possono essere visti come parte della fisiologia del sistema giuridico e delle funzioni giurisdizionali, ma solo fintantoché tutt'attorno ai Giudici il resto del mondo si svolga secondo modalità fisiologiche. Per resto del mondo si intende, in particolare, il comportamento delle altre Istituzioni, del Legislatore ordinario e dei vari livelli di governo su tematiche di rilievo per la finanza pubblica. In un mondo con dinamiche fisiologiche, i Giudici di prime cure possono focalizzarsi sul caso specifico portato innanzi a loro, facendo giustizia su questo come se fosse l'unico problema da affrontare e da sistemare. Tocca poi alle Giurisdizioni superiori, se la complessità del caso arriva a coinvolgerle, bilanciare i molteplici aspetti che, a partire da quel caso specifico, possono innescare effetti macroscopici e sistemici che non vanno ignorati perché ne scaturirebbe non una più netta affermazione dei diritti su scala più ampia attorno a quel caso, ma una serie di squilibri e scompensi che metterebbe a repentaglio quegli stessi diritti e probabilmente anche altri. Ma per mantenere fisiologica e proficua questa distinzione di prospettive e ruoli dei Giudici, è necessario che il Legislatore ordinario si attivi prontamente ogni volta che le Giurisdizioni superiori rimarcano che la materia necessita di una risistemazione organica per evitare lo "scontro" dei principi, e lo fanno significativamente subito dopo aver rigettato le sentenze dei livelli precedenti che riconoscono diritti ai cittadini o alle imprese (la Corte di cassazione), o rigettato quei dubbi di illegittimità delle norme che servirebbero a perfezionare le sentenze dei livelli precedenti che riconoscono quei diritti (la Corte costituzionale). Se il Legislatore non si attiva in tempi ragionevoli e fisiologici, rischia di incancrenirsi un ciclo vizioso in cui il riconoscimento di alcuni diritti e l'affermazione di alcuni principi costituzionali restano impossibili perché si scontrano ripetutamente con altri diritti e altri principi e non si è in grado di governare le loro compatibilità.
La recente questione del TFR dei pubblici è ancora l'esempio più calzante. Più volte i TAR di prime cure sono arrivati ad affrontarla su impulso di lavoratori pubblici che vedevano sminuito un loro diritto, quello al pagamento semplice, tempestivo e completo del TFR. Alla ricerca di lumi, i TAR si sono rivolti alla Corte costituzionale sollevando eccezioni di legittimità della normativa sul TFR nelle parti riguardanti il pagamento ai pubblici. La Corte si è esercitata in quelle pronunce "ellittiche" e "barocche", di cui si è parlato sopra, che hanno confermato la illegittimità delle norme ma subito dopo ridimensionandola sino a renderla accettabile almeno pro-tempore, alla luce di varie argomentazioni di natura sistemica, alcune delle quali opinabili sia in punto di diritto che con logica economica (il principio costituzionale dell'equilibrio di bilancio, gli incentivi individuali al prolungamento del rapporto di lavoro, gli equilibri del sistema pensionistico e di welfare, etc.). La Corte ha guadagnato tempo per il Legislatore ordinario affinché risistemasse l'intera tematica e cercasse Lui, come soggetto politico, il bilanciamento tra obiettivi e vincoli, scegliendo questa o quell'altra tra le soluzioni percorribili. Da anni il Legislatore è invece immobile su questa tematica.
Non è Giudice di legittimità delle leggi e non ha rivolto sollecitazioni dirette al Legislatore, ma anche la Corte di cassazione, con la più recente Ordinanza sul tema dei ritardi di pagamento della PA ha compiuto lo stesso sforzo. Si è sforzata, anche a costo di usare argomenti al limite della razionalità giuridica e soprattutto economica, di ribaltare le pronunce di prime cure e tenere distinti il dovere fiscale del contribuente dal suo diritto a ricevere pagamenti semplici, tempestivi e completi quando è fornitore di prestazioni alla PA. Se fosse saltata questa distinzione e fosse comparso nell'ordinamento un precedente che rendesse meno censurabili autonome proroghe sine die del debito fiscale o addirittura che aprisse la via a compensazioni coi crediti verso la PA direttamente nei bilanci delle imprese, ne sarebbero potuti derivare effetti molto negativi per la compliance fiscale, senza speranza, tuttavia, di risolvere il problema dei pagamenti in grave ritardo della PA e, anzi, plausibilmente peggiorandolo. Le sofferte argomentazioni della Corte di cassazione dovrebbero funzionare come monito al Legislatore a intervenire con risolutezza per accelerare il più possibile i pagamenti dei PA, tra l'altro uno dei target del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). In assenza di progressi, ci si dovrebbe chiedere sino a quando sarà possibile per la Corte di cassazione ribaltare future eventuali pronunce delle Commissioni tributarie a favore dei diritti del contribuente, senza che la stessa Corte si rivesta di una luce poco lusinghiera, da difensore meccanico dello status quo o da notaio della generica clausola di forza maggiore dei conti pubblici. Anche in questo caso, l'aspetto patologico non nasce nel rapporto tra livelli di giudizio, ma dalla evanescenza del Legislatore: l'increscioso capitolo dei ritardi di pagamento della PA è aperto, infatti, da decenni, e solo per questo la Corte può azzardarsi a considerarlo una caratteristica negativa "ambientale" da prendere come un dato di fatto. A essere in ritardo e deviare dalle interazioni istituzionali fisiologiche è il Legislatore, non i Giudici e le Corti.
A questo gioco ripetuto a tre giocatori (Giudici delle prime cure, Giudici di ultima istanza, Legislatore) converrà dare presto nuove regole. Mutuando dalla terminologia dell'economia dei contratti e delle assicurazioni, sino a ora il Legislatore ha scelto comportamenti di moral hazard guidati presumibilmente dalle convenienze politiche: sapendo di avere le "spalle coperte" dalle Giurisdizioni superiori, non ha affrontato con la necessaria priorità le risistemazioni della normativa dei settori e dei comparti di spesa pubblica dove sono entrati in diretta e plateale collisione diritti soggettivi (di persone fisiche o giuridiche che siano) provvisti anche di garanzia costituzionale, principi di equilibrio e sostenibilità del bilancio pubblico (tra l'altro attestati nell'articolo 81 della Costituzione), vincoli di risorse e di liquidità della PA e forse anche capacità tecnico-gestionali della PA. Converrà dare nuove regole a questo gioco ─ si diceva ─ perché il rispristino del Patto di stabilità europeo e il percorso di consolidamento che l'Italia ha davanti nei prossimi anni rischiano di rendere ancora più cruda la contrapposizione tra diritti da soddisfare, in difesa dei quali cittadini e imprese ricorrono ai Giudici di prime cure, e capacità della PA di renderli effettivi. Ci saranno sempre la Corte di cassazione e la Corte costituzionale a guadagnare tempo per misure di politica economica a venire? Vorranno davvero le Corti prestarsi a questo gioco a tre ripetuto ad infinitum, cioè finché dura?
Che cosa succederebbe se, oltre quello di Matera, anche altri Tribunali, dappertutto nel Paese, intimassero di effettuare immediatamente prestazioni sanitarie fondamentali per la salute dei cittadini che vi si sono rivolti tramite i loro avvocati, eliminando le file di attesa sinora accumulate? Se la questione finisse, per le corrette vie, innanzi alle Corti superiori, queste se la caverebbero "pilatescamente" richiamando la molteplicità degli obiettivi da perseguire e dei principi da contemperare e rilanciando la palla nel campo del Legislatore nella speranza che si svegli e ravvivi? Oppure, su tematiche che toccano direttamente la salute e la sopravvivenza della persona lascerebbero arrivare sino in fondo le sentenze/ordinanze dei Giudici di merito cosicché "fiat iustitia, ne pereat mundus"? Sarebbe una gran bella scossa per quel gioco ripetuto a tre giocatori che da cooperativo e virtuoso che dovrebbe essere si è lentamente atrofizzato, creando contrapposizione e tensione tra i livelli di giudizio di prime cure e le Corti superiori, mentre il Legislatore dorme sereno della sua legalità e legittimità.
"Fiat iustitia, pereat mundus!" o "Fiat iustitia ne pereat mundus!" ?
Roma, 14 luglio 2024
Allegati
- Ordinanza 12708/2024 della Corte di Cassazione (.pdf, 120 Kb)
- Quali soluzioni per il pagamento del TFR/TFS dei pubblici? (.pdf, 757 Kb)
- Legge 7 agosto 1990 , n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) (.pdf, 134 Kb)
- DL 24 febbraio 2023 , n. 13 (in particolare, artt. 4, comma2, e 13, comma 3-bis) (.pdf, 350 Kb)
- D. Lgs. 9 ottobre 2002 , n. 231 (Attuazione della Direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali) (.pdf, 65 Kb)
- D. Lgs. 10 marzo 2000 , n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9) (.pdf, 87 Kb)
- DL 7 giugno 2024 , n. 73 (ancora non convertito al 12 luglio 2024) (.pdf, 174 Kb)
- Documento della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome su DM 73/2024 (.pdf, 334 Kb)
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