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Riflessione di inizio anno sulle pensioni
Sembra che la crisi del 2008 abbia marcato un cambio di direzione delle riforme: dalla flessibilità dei requisiti di pensionamento con adeguamenti attuariali degli assegni alle modalità flessibili con cui restare in attività per raggiungere requisiti puntuali. Perché e come nella Reforming Note del 3 gennaio 2018.
Pur nella diversità che i sistemi pensionistici da sempre hanno nel confronto internazionale, nel decennio precedente la crisi economica del 2008 si era andata affermando una tendenza a riformare le regole verso schemi flessibili nei requisiti anagrafico-contributivi, con più ampia possibilità di scelta dell’età di pensionamento da parte del lavoratore, controbilanciata da correttivi in aumento o in diminuzione (premi e penalità) dell’assegno a seconda che l’età fosse anticipata o posticipata.Alla base di questa tendenza di riforma, comune a più Paesi, v’era un principio di fondo che si stava anch’esso affermando a livello internazionale (sicuramente a livello europeo): quello di sviluppare un welfare system non eccessivamente assorbito dalle pensioni, capace di presidiare gli altri capitoli di spesa (sanità, famiglia, minori, non autosufficienze, accesso all’abitazione, formazione del capitale umano, politiche attive e passive per il lavoro, etc.) e di fronteggiare le necessità di tutte le fasi della vita il più possibile “in tempo reale”.
Rispetto a questa tendenza la crisi del 2008 sembra aver marcato una cesura, coglibile anche seguendo le diverse edizioni annuali di “Pensions at a Glance” dell’OCSE o confrontando le versioni degli “Aging Report” della Commissione europea. Restano sempre validi gli obiettivi di rinforzare gli istituti di welfare diversi dalle pensioni e, in particolar modo, le politiche per il lavoro e per i giovani ma, rispetto al pre crisi, appare cambiato il paradigma di flessibilità. Nelle riforme realizzate dal 2008 a oggi, l’attenzione si sposta dalla flessibilità dei requisiti anagrafici e contributivi, con applicazione di penalties e bonuses, verso le modalità flessibili con cui è possibile prolungare il lavoro per arrivare a soddisfare requisiti di pensionamento più stringenti (soglie puntuali di età e/o anzianità) e crescenti nel tempo assieme alla vita attesa.
In altri termini, se prima la prospettiva era quella di intervalli di età anagrafica e/o di anzianità contributiva entro i quali ci si poteva pensionare con assegni più o meno elevati a seconda che ci si ritirasse prima o dopo, nel post crisi gli intervalli si restringono o sono sostituiti da soglie puntuali (di età e di anzianità) che devono essere soddisfatte perché la pensione inizi a decorrere.
È accaduto che in parte la crisi ha mutato i vincoli a breve-medio termine delle finanze pubbliche obbligando a rivedere le regole dei sistemi pensionistici, e in parte la stessa crisi ha velocizzato quelle riflessioni, cui si faceva riferimento nei capoversi precedenti, sulla dinamica della spesa pensionistica e sulla composizione della spesa complessiva per welfare nel lungo termine. All’interno di questo “nuovo corso”, l’Italia non è affatto una eccezione, nonostante il dibattito nazionale (dei media ma anche di alcune parti del mondo accademico) ne sottolinei a volte la singolarità (requisiti di pensionamento troppo alti o addirittura esosi, parametri incompatibili con il mercato del lavoro dei giovani e con la resistenza psicofisica degli anziani).
Da subito bisogna impegnarsi nello sviluppo della nuova idea di flessibilità, quella in uscita, intesa come modalità per alleggerire gradualmente il carico di lavoro negli ultimi anni prima del raggiungimento dei requisiti per la decorrenza della pensione, permettendo varietà di scelte adattabili alle esigenze individuali.
In calce c'è il .pdf integrale della RN del 3 gennaio 2018.
Auguri di buon anno.
Allegati
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