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Limiti ordinamentali attempati
I commi 2-5 dell'articolo 23 della bozza di Legge di bilancio per il 2025 equiparano di fatto le regole pensionistiche del comparto pubblico a quelle del comparto privato per quanto riguarda il limite ordinamentale, la possibilità di prolungare il contratto di lavoro in essere anche dopo il compimento dei requisiti per l’uscita anticipata, la possibilità di prolungare il rapporto di lavoro in base ad accordo tra l’Amministrazione e il lavoratore anche dopo il perfezionamento dei requisiti di vecchiaia ma non oltre i 70 anni. Queste misure si inseriscono nel lungo e faticoso percorso di equiparazione pensionistica tra comparto privato e comparto pubblico, in svolgimento dagli inizi degli anni Novanta e ormai sostanzialmente completato.
Sinora la normativa pensionistica del pubblico impiego, negli aspetti ancora permanenti di distinzione da quella del comparto privato, è stata più interessata al pensionamento come soluzione per accorciare le carriere e per riconoscere alle Amministrazioni la facoltà di interrompere il rapporto anzitempo con aggravio dei conti delle pensioni. Le misure proposte vanno in direzione opposta. I parametri di pensionamento diventano sostanzialmente gli stessi del privato e l’intuitus delle Amministrazioni sarà chiamato, non a selezionare chi obbligare all’interruzione del rapporto di lavoro per raggiunti requisiti di anzianità, ma a chi eventualmente proporne la prosecuzione anche oltre i limiti di vecchiaia perché utile alla attività e ai programmi degli Uffici, a cominciare dall’attività trasferimento della informazione e della conoscenza/esperienza ai colleghi relativamente più giovani.
Dietro le misure si può riconoscere un apprezzabile cambio di prospettiva con cui guardare alle PA: da datori di lavoro che fronteggiano lavoratori per principio rigidi, problematici e che prima poi, per varie ragioni e in tutti i livelli di inquadramento, costituiranno un fardello di cui liberarsi; a datori di lavoro in grado di fronteggiare le stesse regole pensionistiche del comparto privato, nel contempo valorizzando i loro lavoratori a tutte le età e in tutti gli stadi di carriera.
Da un lato, è molto importante che le regole pensionistiche non facciano sentire “odore” di smobilitazione e smobilizzazione anzitempo, dappertutto ma soprattutto nel comparto del lavoro pubblico dove, per tante ragioni che qui non c’è tempo di esaminare, i meccanismi di controllo, incentivazione e responsabilizzazione sono più difficili da costruire e far funzionare a regime. Dall’altro lato, è altrettanto importante che le PA possano avere a disposizione tutti gli organici senza “tagliole” meccaniche come oggi sono gli attempati limiti ordinamentali, possano modulare funzioni, responsabilità, incarichi e relative componenti retributive nell’ultima parte della carriera dei dipendenti, e possano altresì valutare con chi, portatore di professionalità utili e di valore aggiunto, eventualmente proseguire il rapporto di lavoro anche più a lungo.
Per le sfide future servono Amministrazioni moderne, capaci di gestire il patrimonio costituito dai lavoratori e dai professionisti da attirare e trattenere.
La valutazione di Reforming è positiva e si spera che il passaggio parlamentare confermi le misure.
L’unico aspetto che potrebbe essere migliorato è il limite massimo di 70 anni per il proseguimento del contratto su basi concordatarie, che potrebbe essere riscritto a 71 anni e agganciato alle progressioni di vita attesa come è già nel comparto del lavoro dipendente privato, e come è già sia nel comparto privato che nel pubblico quando il prolungamento è motivato dal fatto che non si sono ancora raggiunti i requisiti di pensionamento. In questo modo si eliminerebbe anche la contraddizione che lo stacco tra i due parametri è destinato a crescere, perché il tetto dei 71 anni è agganciato alla progressione di vita attesa mentre quello dei 70 no. I 70 anni sono anche inferiori di un anno rispetto al requisito anagrafico del canale aggiuntivo di uscita di vecchiaia esistente solo per i lavoratori “contributivi”, da fare valere assieme ad almeno cinque anni di anzianità contributiva senza alcun vincolo di importo minimo della rata. Anche questo stacco è destinato a crescere. È, questo, l’unico suggerimento che si avanza per il dibattito parlamentare: uniformare il limite massimo per la continuazione del contratto di lavoro in essere a 71 anni con aggancio alle progressioni della vita attesa. Si risparmierebbero lavoro e tempo dei Giudici, perché è facilmente ipotizzabile che due parametri diversi ma così vicini nel livello e nella funzione loro attribuita creeranno, prima o poi, perplessità sulle quali si chiederà alle Corti di esprimersi, nella "migliore" tradizione evolutiva del sistema pensionistico italiano.
Red. Ref.
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