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I Capitali Previdenziali e la Crescita
Stimolare i capitali previdenziali (quelli del pilastro previdenziale privato) a scegliere investimenti di lunga durata, diretti all'economia reale, forieri di effetti positivi sulle dotazioni infrastrutturali.
ll tema è indubbiamente complesso. Non ci sono soluzioni facili e questo breve scritto non vuole essere una troppo "accademica" critica alla Legge di Stabilità, commi 92-94.
Però le criticità di questi commi restano e bisogna esserne consapevoli.
Qui si abbozzano i termini generali di possibili scelte alternative. In particolare, una passante per una riforma complessiva della fiscalità della previdenza complementare verso lo schema EET, l'altra per un collegamento tra capitali previdenziali e capitalizzazione dell'EFSI del "Piano Juncker".
Nella Legge di Stabilità 2015, la fiscalità di favore per la fase di accumulazione del pilastro previdenziale privato, con imposta sostitutiva dell’11%, viene confermata solo per investimenti <qualificati>, mentre per gli altri l’aliquota sale al 20%.
Si cerca di creare incentivi a canalizzare le risorse verso investimenti a medio-lungo termine e, soprattutto, investimenti capaci di stimolare crescita in Italia, investimenti sull’Italia. Nella lista che il Ministro dell’Economia e delle Finanze è chiamato a stilare ci si aspetta di trovare, come categorie <qualificate>, gli emittenti nazionali, anche suddivisi in subcategorie preferenziali, o i titoli di Stato italiani con lunghe scadenze, o altre scelte di investimento che permettano afflussi di capitali consistenti e stabili a favore di entità e progetti con ricadute economiche a livello Paese, in primo luogo realizzazione di infrastrutture.
Mentre è chiara la ratio del Legislatore, se ne intravedono anche alcuni rischi. In primo luogo quello di creare distorsioni nell'asset allocation che dovrebbe avere come unico obiettivo la massimizzazione dell'accumulazione dei benefici a vantaggio degli iscritti alla previdenza complementare.
Tra l'altro, se tutti i Partner europei optassero per la stessa soluzione (incentivare l’home bias), potrebbe partire una “competizione fiscale” per fare protezionismo sui capitali previdenziali. Si attiverebbe una tendenza opposta a quella su cui l’Europa si sta sforzando di lavorare da tempo, per promuovere grandi investimenti di scala paneuropea facendo collaborare le capacità finanziarie dei Paesi Membri. Un punto da non trascurare, se si vuole evitare che la crisi dia in lascito un effetto di ritorno al protezionismo sui mercati dei capitali.
Forse potevano esser scandagliate più a fondo soluzioni alternative.
Una prima alternativa poteva essere il passaggio allo schema EET per la fiscalità della previdenza complementare. Avrebbe avuto impulso tutta l’attività degli strumenti previdenziali privati e, come parte di questa, anche l’operatività in titoli di emittenti italiani. Oltretutto, dal passaggio alla detraibilità dall’imposta ci si poteva aspettare anche un effetto positivo sull’adesione al pilastro privato da parte della grande platea del lavoro dipendente. Per dare piena copertura alla tax expenditure generata dal passaggio all’EET, se ne poteva chiedere l’esclusione dal computo del deficit pubblico ai fini del Patto di Stabilità, in qualità di spesa qualificata per investimenti (i.e. per sostegno a investimenti via pilastro previdenziale privato). Per suffragare la richiesta di esclusione, sarebbe stato possibile addurre anche la motivazione che lo sviluppo del pilastro privato, con razionalizzazione della sua fiscalità, è parte della riforma strutturale del welfare system sollecitata anche dalle Istituzioni internazionali. Ci si poteva provare, anche proponendola come misura per tutti i Paesi Membri. Anche una porzione del QE di Mario Draghi poteva essere immaginata a copertura della tax expenditure.
Ma in una visione europea, la soluzione poteva esser più ambiziosa. Si sarebbe potuta convogliare verso l'EFSI (il fondo previsto dal "Piano Juncker") anche una parte delle risorse finanziarie dei pilastri previdenziali privati. Per creare incentivi a sottoscrivere quote dell'EFSI, la tax expenditure a favore degli strumenti del pialstro previdenziale privato poteva esser rinforzata e coperta da risorse messe a disposizione dal QE della Banca Centrale.
Un aspetto segnalato dal dibattito è proprio il mancato collegamento tra l’EFSI e il QE; tale collegamento poteva (potrebbe ancora) avvenire nella forma di copertura della tax expenditure per incentivare l'investimento nell'EFSI. Le regole di funzionamento dell’EFSI già prevedono che ogni Paese Ue avanzi dei progetti di interesse nazionale da finanziare, e questo canale permette di allineare il rilancio degli investimenti su scala continentale con le valutazioni di priorità espresse dai singoli Membri. La finalità perseguita dai commi 92-94 della Legge di Stabilità 2015 (stimolare investimenti di interesse nazionale) avrebbe potuto trovare collocazione all’interno di un piano più ampio, più forte e con maggiori garanzie di screening e selezione delle opportunità migliori. In particolare, accentrare a livello europeo la gestione delle risorse, sotto la supervisione della Banca Europea degli Investimenti, fornisce una migliore protezione da “cortocircuiti” nazionali sia nell’asset allocation che nella distinzione dei ruoli tra operatori di mercato e policy maker, tra sfera tecnica e sfera politica, ovvero da quelle criticità segnalate per i commi 92-94 della Legge di Stabilità.
Allo stato attuale sembra, invece, che scelte comunitarie e scelte nazionali possano, in certa misura, ostacolarsi a vicenda, se altri Paesi come l’Italia tentassero di aumentare la parte dei capitali previdenziali investita all’interno, proprio mentre l’Europa si sforza di far nascere e capitalizzare un grande fondo di scala continentale per gli investimenti a lungo termine e il rilancio dell'economia e della crescita.
Le scelte non sono facili, perché si devono scontare anche i tempi del coordinamento europeo, senza escludere che un accordo sull’utilizzo di una parte del QE per dare copertura alla tax expenditure a favore del pilastro previdenziale privato, e così stimolare la partecipazione all’EFSI degli strumenti di previdenza privata dei Paesi Membri, potrebbe non esser raggiunto.
Tuttavia si deve anche dire che il “Piano Junker” partirà presto, a metà 2015, e che il QE della BCE è già pronto (sino a non molto tempo fa sembrava impossibile). Dall’altro lato, la scelta degli investimenti <qualificati> deve ancora esser compiuta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e, anche resi funzionanti i commi 92-94: (a) non è detto che gli operatori di mercato rispondano subito; (b) il mantenimento dell’aliquota all'11% troverà un limite di tax expenditure di 80 milioni di Euro all’anno; e, (c) nei casi in cui gli operatori di mercato riterranno di non attenersi alla lista ministeriale o non ci sarà capienza negli 80 milioni, scatterà l’aliquota impositiva del 20%, con possibili effetti negativi sulla partecipazione al pilastro privato e sulle scelte di investimento (per esempio, aumento della quota di titoli di Stato italiani sui rendimenti dei quali è confermata l’imposizione sostitutiva al 12,5%).
Insomma, forse era il momento di puntare più in alto e affidarsi a uno strumento di scala europea libero anche da certe contraddizioni dei commi 92-94. Ma lo si può ancora fare.
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