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C'è un Lucano tra Keynes e Mantoux
<< Quale ben diverso futuro l’Europa avrebbe potuto sperare se Lloyd George o Wilson avessero capito che i problemi più gravi reclamanti la loro attenzione non erano politici o territoriali ma finanziari ed economici, e che i pericoli del futuro non stavano in frontiere e sovranità, ma in cibo, carbone e trasporti >>, J. M. Keynes, pag. 123, Le Conseguenze Economiche della Pace (1919)
<< Gli Stati Uniti d’America avevano fatto un grade sforzo finanziario per aiutare gli associati: ma nel loro interesse e nell’interesse dell’Europa avrebbero fatto malissimo a continuarlo. Quando i mezzi [sono] impiegati per mantenere [l’anarchia, il disordine, le avventure, la violenza], è meglio che ogni aiuto si arresti. Di fatto in Europa si ragiona un po’ meglio dai Governi da quando le difficoltà finanziarie sono molto aumentate >>, F. S. Nitti, pag. 250, L’Europa senza Pace (1921)
In questa metà del 2020, in cui sono ricorrenti i paragoni con l’Europa del Primo Dopoguerra - in crisi, divisa e incapace di slancio in avanti - e le citazioni di Keynes e Mantoux, c’è un posto anche per il Presidente Francesco Saverio Nitti, e non solo perché visse da vicino la discussione al Tavolo di Versailles (soprattutto dopo il suo avvicendamento a Vittorio Emanuele Orlando alla guida del Governo) ed ebbe modo di interagire con Keynes e con i principali esponenti politici di allora. Se Keynes, con “Le Conseguenze della Pace” (1919), e Mantoux, con “La Pace Cartaginese. Le Conseguenze Economiche di Mr. Keynes” (1945), identificano le due opinioni opposte sui contenuti del Trattato di Versailles e sul loro impatto sui destini dell’Europa, Nitti, con “L’Europa senza Pace”, aiuta a ricostruire la distanza che separa i due. Proprio per questo motivo, se Keynes e Mantoux parlano ancora all’Europa incompleta, confusa e litigiosa di oggi, lo stesso fa Nitti, che getta luce su quanto c’è stato di vero nelle valutazioni di entrambi.
Per Keynes i problemi dell’Europa del 1919 erano esclusivamente finanziari ed economici (cibo, carbone e trasporti) e, risolti questi con un impeto di generosità dei vincitori a Versailles, si sarebbero naturalmente palesati orizzonti più rosei per tutto il continente. Per Mantoux, che scrisse a Seconda Guerra Mondiale appena chiusa, i problemi di venti anni prima avevano invece profonde radici in differenze culturali e politiche che, compresse per secoli nell’Ancien Régime europeo, la Grande Guerra aveva fatto esplodere e nessuno si era preoccupato di ricondurre a pacifica e costruttiva convivenza. In mancanza di visione politica, gli aiuti e i sostegni economici (che Keynes giustamente invocava e che poi in effetti arrivarono) ridettero fiato alle stesse polveri che avevano portato alla Grande Guerra.
Anche se Nitti non citò mai Mantoux né commentò mai esplicitamente gli ammorbidimenti delle clausole economiche dei Trattati di Pace, il suo pensiero in “L’Europa senza Pace” riconosce aspetti di verità sia in Keynes che in Mantoux: servivano sì collaborazione economica e investimenti sul futuro dell’Europa, ma questi sforzi dovevano incanalarsi in un progetto nuovo, aperto e verificabile passo per passo, e non disperdersi in rivoli, spesso occultati e controproducenti. Sarebbe stato molto meglio (con Keynes) se Versailles avesse subito lanciato messaggi di pacificazione vera senza istinti vendicativi o di predominio, ma l’Europa di allora non era pronta (con Mantoux) per fare l’utilizzo migliore di questa possibilità, e la mentalità delle personalità più influenti e le scelte politiche che vennero dopo ne portarono ampia testimonianza. A tal punto che Nitti si chiese già nel 1921 (prima dei Piani “Dawes” e “Young”) se non fosse meglio che ogni aiuto all’Europa e ai vinti si arrestasse per fare ragionare meglio, con più realismo e responsabilità, le menti e gli Stati.
A cento anni di distanza, i singoli Paesi europei sono pronti per il progetto Europa, sono pronti per i grandi vantaggi ma lanche le altrettanto grandi responsabilità di Istituzioni e risorse condivise?
Quanta Europa di oggi c’è ancora nelle riflessioni di Nitti? Ci sono ancora le meravigliose opportunità raggiungibili dalla collaborazione e dall’unione degli sforzi, il lato à la Keynes; ci sono, purtroppo, anche visioni diverse sull’Europa e, soprattutto, insufficiente fiducia reciproca tra Paesi sull’utilizzo effettivo che potrebbe essere fatto delle risorse comuni, il lato à la Mantoux.
I termini del dibattito non sono, nella loro sostanza, cambiati. E guardare a come quel dibattito si è evoluto nel tempo e ha dato mano a mano spazio alle ragioni su più fronti, senza rimanere fermo alla distinzione tra le ragioni dei vincitori e le colpe dei vinti, può aiutare, oggi, a evitare posizioni estremistiche, che si tratti di critiche di “parassitismo” contro i Paesi a finanza pubblica più debole e più bisognosi di flessibilità (da parte dei sostenitori della austerity e del rispetto delle regole), o di critiche di oltranzismo del rigore e di mire di prevaricazioni contro i Paesi core (da parte di chi dietro le regole arriva addirittura a vedere rischi di neo-colonizzazione germanica). Posizioni estreme sono inutili e controproducenti ancor più che a inizio secolo, perché non solo le interdipendenze tra Paesi europei si sono accresciute ma anche perché, nel mondo globalizzato, per incidere su ogni cosa c’è bisogno di fare unione e massa critica. La lettura di Nitti aiuta sperare nella possibilità di ridurre le distanze; ci sono ragioni valide su entrambi i fronti.
Se ci si fermasse qui, il rebus europeo rimarrebbe ancora senza soluzione: E quindi qual è la strada? Che cosa ci può insegnare il disastro degli anni ’20, al di là di far capire che il rebus europeo ha tenuto allenate le menti politiche ed economiche europee almeno dall’inizio del XX secolo? Nelle ultime pagine de “L’Europa senza Pace” Nitti provò a tracciare delle possibili soluzioni.
Nel gruppo di queste proposte, lo spunto che sembra di piena attualità e anche molto concreto è quello in cui auspicò fossero Francia, Germania e Italia a cercare un accordo duraturo e a fare emergere una visione a lunga gittata, attorno a cui poi coinvolgere gli altri Paesi. “Ma l’Europa non avrà pace fin quando i tre Paesi progressivi del continente europeo, Germania, Francia, Italia, non troveranno la via di un accordo che riunisca le loro energie in un solo sforzo”.
Molti in questi giorni mettono in guardia da una crisi di identità dell’Europa, aggravata dall’avvento di COVID-19; una situazione di stallo, non normale per un progetto arrivato ormai a oltre settanta anni di vita, in cui non ci sono più entusiasmo e fiducia per andare avanti, ma c’è anche tanta paura di fare passi indietro e perdere benessere. Potrebbe esser ancora molto utile l’invito di Nitti ai tre-quattro Partner più grandi a coordinarsi per creare una rinnovata base per l’Unione europea, una nuova “narrazione europea” che convinca tutti gli altri europei e non europei. Oggi il gruppo andrebbe esteso probabilmente anche alla Spagna che Nitti non prese in considerazione per una serie di ragioni. Non prese in considerazione neppure la Gran Bretagna, che in ogni caso non ci sarebbe neanche oggi, mai parte dell’Euro e uscita dall’Unione forse proprio a causa della perdurante crisi di identità da cui non voleva essere contagiata oltre.
Come nei momenti difficili i Paesi usano tornare al dettato della Carta Costituzionale e interrogarlo per ritrovare ispirazione, così forse in Europa un dialogo più diretto, e con meno “rumori di fondo”, tra Francia, Germania, Italia e Spagna, potrebbe aiutare a dare nuova linfa alle fondamenta europee. Da soli, questi Paesi non solo contano per la maggior parte del PIL e della popolazione, ma possono rappresentare adeguatamente le posizioni contrapposte sul bilancio europeo e sulla politica economica europea. Una rinnovata fiducia tra i quattro compatterebbe di fiducia tutta l’Europa.
Nitti sarebbe probabilmente d’accordo, perché così parlano i suoi scritti; ci piace credere sarebbero finalmente d’accordo anche Keynes e Mantoux, i due intellettuali che hanno visto nel Trattato di Versailles l’origine di tutti mali ma per motivi diametralmente opposti, entrambi coglienti una parte di verità.
Roma, lì 30 giugno 2020
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