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Bilanci, Debito, Moneta
Si allega il .pdf della breve nota "Bilanci, Debito, Moneta". Di seguito se ne riportano i periodi conclusivi.
Ora che, per la gravità epocale della crisi, non si può prescindere da interventi di immissione di liquidità da parte della BCE (annunciati e già in corso dal precedente settennato “Draghi”), il punto diviene posizionare il confine tra debito e moneta e come progettare il rientro alla normalità finanziaria e di finanza pubblica, che potrebbe essere anche tra qualche anno. Vanno evitate posizioni estreme (la monetizzazione risolve tutto vs. la monetizzazione è da evitare), anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale tedesca che il 5 Maggio si è pronunciata con riserva sul quantitative easing che la BCE ha condotto negli anni scorsi. Sarebbe opportuna una espressione chiara e netta del Consiglio europeo, per evitare che del futuro dell’Europa parli solo la BCE.Durante crisi della portata di Covid-19, la moneta è un’attività con una caratteristica unica e strategica, quella di attutire i rischi, di permettere di aspettare e superare le fasi acute, di evitare rotture dei contratti e dei rapporti di lavoro, di dare continuità ai pagamenti e ai processi produttivi e, cosa richiamata anche da Mario Draghi sul Financial Times, di evitare l’improvvisa accumulazione di debiti pubblici e privati a livelli che poi potrebbero pesare sulla ripresa, perdurando condizioni di instabilità e tensione a detrimento di tutti, compresi gli stessi creditori. Non è vero che monetizzare è inutile perché non cambia nulla nelle fondamenta reali dell’economia, soprattutto adesso che l’inflazione è bassa e non costituisce un problema neppure all’orizzonte.
Monetizzare può cambiare il corso egli eventi che, in questo momento, significa anche cambiare il futuro dell’Unione. Si deve essere consci, tuttavia, che si tratta di una soluzione cooperativa e redistributiva tra Paesi, attuata in una moneta comune il cui potere d’acquisto si regge grazie alle economie di tutti i Paesi Membri. Come tale, questa soluzione deve collocarsi in una più ampia visione di cooperazione tra Paesi, fruttuosa e progressiva per tutti, periferia e core, cosa che dovrebbe essere scontata in una Unione sulla carta già esistente da quasi un ventennio, ma che purtroppo non è.
All’intero di questa visione, non possono non esserci almeno due punti essenziali: un programma chiaro, realistico e vincolante, di come i titoli obbligazionari in portafoglio BCE saranno riacquistati dai Paesi (anche semplicemente con divieto di rinnovo da parte della BCE) per ridrenare gradualmente la liquidità e non cadere in sindromi di soft budget constraint / ratchet effect; e, soprattutto, un’idea sull’Unione che si desidera dopo Covid-19, sia nelle relazioni interne tra Membri sia nelle proiezioni all’esterno, nel mondo globalizzato.
Per adesso si può ragionevolmente dire che cosa non dovrà essere l’Unione perché valga gli sforzi di continuarla: né la “fabbrica di San Pietro”, spesso polemica e litigiosa, vista negli ultimi dieci anni, con toni esacerbati dalla crisi del 2012 in poi; né una frontiera tra Paesi mediterranei e Paesi continentali, tra periferici e core (è nata per abbattere le frontiere non per istituzionalizzarle); né una cassa comune per facili bail-out come temono (è evidente) la Germania, l’Olanda, l’Austria, in parte la Francia (che adesso però è passata su posizioni più sfumate); ma neppure un contenitore rigido utilizzabile per ingessare in eterno le posizioni di forza reciproca che i Paesi Membri avevano alla fine, ormai lo si può dire, dello scorso millennio, aspirazione sicuramente presente in molta parte del dibattito e delle constituencies dei Paesi core.
La migliore risposta alla Corte Costituzionale tedesca dovrebbe contenere argomenti convincenti su questi due punti: la moneta come strumento pro-tempore senza dipendenze stupefacenti, e il futuro dell’Unione fuori da retorica europeista ma anche da interessi di parte di breve periodo.
Proprio per questa ragione, la risposta dovrebbe arrivare dai Paesi Membri e dalle Istituzioni europee, dalla Commissione, e non dalla task force tecnica della BCE. Sarebbe opportuno che, nei tre mesi di tempo che Karlsruhe ha dato per contro-argomentare la sentenza, il Consiglio europeo si riunisse per esprimere una posizione chiara, netta e unanime. Se all’appello mancasse anche solo la Germania, sarebbe un segnale molto negativo e non più colpa colpa né della BCE che non può fare più di quanto sta già facendo, né della Corte Costituzionale tedesca che avrà avuto solo il ruolo di sollevare il velo di Maya.
Roma, lì 7 Maggio 2020
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