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Alcune osservazioni sui residui fiscali
Il residuo fiscale: la differenza tra la spesa pubblica riferibile a un determinato territorio e il gettito fiscale e contributivo raccolto nello stesso territorio. Di questa “grandezza fantasma” (per mutuare una espressione coniata per l’output gap usato nella governance europea prima della crisi da COVID-19) che aleggia sulla geografia economica italiana si dibatte da circa un secolo e mezzo, dai primi decenni post Unificazione. Se ne sono susseguite diverse quantificazioni, da quelle sperimentali di Maffeo Pantaleoni e Francesco Saverio Nitti di ormai un secolo fa, a quelle che oggi si possono reiterare anche a frequenza annuale favorite dalla disponibilità dei dati di contabilità nazionale e della banca dati dei contri pubblici territoriali (CPT).
L’impianto fiscale-contributivo e di spesa pubblica è componente integrante dell’unità nazionale, concorrendo a definire l’insieme delle regole comuni valide in ogni parte del Paese, senza eccezioni in un verso o nell’altro (un collante in tutti i sensi). Il residuo, l’esito contabile anno per anno di queste regole comuni non può essere banalizzato e utilizzato per rivendicazioni territoriali come se si violasse la soggettività di qualcuno, la sua sfera patrimoniale, e a lui si sottraesse per dare ad altri. Se le Regioni meno sviluppate hanno un residuo positivo e quelle economicamente più forti lo hanno negativo, ciò avviene come risultato di regole comuni che coinvolgono e sollecitano persone fisiche e persone giuridiche all’interno di una stessa Regione, nello stesso identico modo con cui coinvolgono e sollecitano persone fisiche e persone giuridiche di Regioni diverse.
Ma queste fondamenta di unità nazionale ce le siamo date non per puntellare le condizioni di bisogno attraverso le epoche e tentare di resistere quanto a più a lungo ci riesce, ma per risolverle ed edificare in positivo.
Non è sufficiente affermare che quanto avviene risponde a delle regole ben codificate e internamente coerenti, specchiate nella Costituzione, e così sentirsi al di sopra di ogni altra valutazione, al di là di ogni rischio. Se ci si ferma a questo stadio, si può commettere lo stesso errore di chi si accontenta della Costituzione formale e ritiene superfluo interrogarsi dove sia rimasta quella materiale; l’errore di confondere la creazione giuridica delle Istituzioni e delle relazioni tra di loro e il riconoscimento giuridico dei diritti (a cominciare dall’atto fondativo costituzionale) con la loro concretizzazione e sostenibile acquisizione.
Al Mezzogiorno si deve chiedere sviluppo in tutte le accezioni, non soltanto in termini di PIL. Il pudore di non chiedere risultati fa male allo stesso Mezzogiorno che non merita cautele “adolescenziali”; e fa male a tutto il Paese che rinuncia a una parte importante di sé per progetti e politiche che potrebbero essere più forti sempre nel segno dell’unità e della coesione.
È preferibile che delle criticità connesse a residui monodirezionali (Nord-Sud), persistenti da settanta anni (tutta la vita repubblicana) e di entità significativa parlino coloro che sanno che cosa c’è dietro il residuo, e vogliano spendersi per una risoluzione del problema del divario all’interno dei principi della nostra Costituzione e del quadro di un Paese unitario. Sarebbe molto pericoloso non presidiare con senso di pieno realismo il tema e lasciare campo libero a soluzioni di stampo diverso.
Assieme alla spiegazione che dietro il residuo c’è il semplice funzionamento della normativa valida per ogni dove del Paese, bisognerebbe non tacere che è anomalo e subottimale che il PIL e le risorse disponibili per beni/servizi pubblici provengano in proporzione significativamente maggiore da una metà geografica del Paese. Tale anomalia non può essere sanata dal fatto che il relativo successo della metà più forte è sostenuto anche dalle interconnessioni con l’altra metà (in termini di domanda aggregata, esodo di capitale umano di studenti e professionisti, flussi di mobilità sanitaria, alcune materie prime, etc.) nell’equilibrio che, nel bene e nel male, si è andato evolvendo nei decenni. L’anomalia resta e il residuo - con tutti i suoi limiti di calcolo e le difficoltà di interpretazione e le cautele di utilizzo - ne è il termometro. Accantonarlo del tutto come un nonsenso economico, o un feticcio che oscura le proprietà dell’intero organismo, rischia di essere recepito come un messaggio troppo rassicurante quando invece è necessario concentrare gli sforzi e pretendere risultati.
La breve Nota che si allega non offre nessuna soluzione, perché di soluzioni facili e chiare non ce ne sono. Solo poche considerazioni, discorsive e anche un po’ impressioniste, per richiamare l’attenzione su un problema atavico, quello del divario Nord-Sud e del Mezzogiorno, sul quale non bisogna mollare la presa, perché la crisi da COVID-19 potrebbe aumentare ancora di più le distanze e perché, per approntare soluzioni, non si hanno più a disposizione i venti-venticinque anni del Dopoguerra (l'unica stagione in cui il gap mostrò tendenze alla riduzione), ma tempi molto più stretti e in un quadro internazionale pieno di complessità.
Roma, 27 novembre 2020
Allegati
- Southern Italy between history and journalistic books (by Emanuele Felice) (.pdf, 382 Kb)
- Net fiscal flows and interregional redistribution in Italy: a long run perspective (by Adriano Giannola, Domenico Scalera, Carmelo Petraglia) (.pdf, 996 Kb)
- Mezzogiorno e politiche regionali (volume monografico a cura della Banca d'Italia) (.pdf, 5,4 Mb)
- La distribuzione del reddito tra le Regioni italiane (fonte: Treccani on-line) (.pdf, 699 Kb)
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